Due giorni fa ho rivisto Harry ti presento Sally, dopo tanto tempo, con altre esperienze addosso. È incredibile come cambi la tua percezione su tante cose a seconda di ciò che stai vivendo o che nel frattempo ti è arrivato addosso. È fortemente anacronistico quel film, perché oggi Harry e Sally – forse – sarebbero stati trombamici e poi non si sarebbero parlati più, bloccandosi su tutti i social, probabilmente. Forse si sarebbero incontrati su un blablacar da Chicago a New York (esiste blablacar in America? Bah, vabbè), lui l’avrebbe cercata su facebook, le avrebbe messo quella ventina di like alle foto profilo per poi approdare a parlarle su Messenger. E via di sexting, e via di aperitivo (che impegna poco, si sa). Insomma, loro potevano esistere una ventina di anni fa, oggi le dinamiche non sarebbero le stesse.
Poi mi sono trovata a parlare con un’amica (santa amica, che sopporta i miei scompensi sentimentali da qualche mese in qua, quando mi ha presentato un amico) e a rispondere a una domanda. “Ma tu, cosa vuoi da un rapporto?” Magari le parole non erano proprio queste, ma insomma, il senso è quello lì. E succede così, per caso, che ti si accende una lampadina. Ho già risposto a questa domanda, anche al mio analista, perché in sostanza non lo so. Chiariamo: non vivo rapporti canonici, “normali” da tempo. Ok, ora vi state chiedendo cosa vuol dire normale. Quella cosa per cui conosci uno, esci una serie di volte, ti presenta (gli presenti) gli amici, iniziate a passare dei venerdì sera avvolti da copertina e gatti davanti a un film (o una serie tv), cucinate insieme, andate a fare la spesa, nel migliore (?) dei casi vi ritrovate a condividere gatti e casa. Ecco, no, queste cose non le vivo da un bel po’. Questo mi porta a pensare che non so se veramente è quel che cerco. Alcune cose delle coppie mi danno, se non paura, un sottile stranimento. E poi c’è quella cosa che trovare una tazza in un posto diverso da dove la metto io di solito mi disturba un filo. Nonostante il mio disordine compulsivo. Ma è il mio, non quello altrui. Quindi, partendo da qua, ho avuto l’illuminazione. Da anni io non ho un obiettivo sentimentale, ovvero non ho un ideale di rapporto perfetto. Tendo a privilegiare le persone e a cercare di capire poi cosa voglio. Chiaro, rimane di base la necessità della chiarezza, della condivisione, delle piccole cose che ti fanno stare bene (come scrivevo qualche tempo fa in “Continuare a esserci”), ma non c’è in me un’idea precisa della relazione che vorrei. Non seguo l’idea della famiglia, i pargoli (non ho nemmeno più l’età per quello), la station wagon e quelle cose lì. Forse perché appartengono alla V. di vent’anni fa, proprio come Harry e Sally. Di là ci sono passata e ho deciso io di chiudere un matrimonio. Sì, conta anche che non fosse la persona giusta, ma sono scappata da quel quadro. Adesso non è che ne fugga, non capita, spesso i rapporti partono già con una sorta di scadenza, ma questo non mi aiuta a pensare che vorrei per forza qualcuno con cui arrivare a una meta definita.
Non so se sia corretto vivere così, se in fin dei conti è un cane che si morde la coda, me lo sto chiedendo, però ci ho veramente fatto caso adesso. La maggior parte della gente che conosco vive seguendo un obiettivo sentimentale, sa che un giorno vorrà stare seduta su un divano rosso (o giallo, questo non è veramente importante) a mangiare patatine con un’altra mano che ci ravana dentro – no, ok, questo potrebbe piacere anche a me – sa di volersi svegliare ogni giorno con un’altra faccia accanto, che ambisce a vedere qualcuno che gira per casa in mutande, mentre io penso che mi capita di russare, che poi dovrei rinunciare a certi miei rituali, che al mattino dovrei parlare, e la cosa mi innervosisce. Insomma, gran parte delle persone vogliono un rapporto che arrivi poi alla completa condivisione e io, invece, non lo so. Non dico che lo escludo, che possa cambiare idea, dico che non è la mia meta quando incontro qualcuno che mi piace e con cui sto bene. E mi chiedo se sono strana io.
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